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Foà compie 95 anni, Auguri Maestro!

Una vita nel grande teatro, una fama da burbero. "Ma io in fondo voglio bene a tutti", dice lui. il ricordo delle persecuzioni razziali del fascismo e l'amore per la moglie Anna.

«Bonjour, monsieur. Oggi parlo in francese». Un'intervista con Arnoldo Foà è, come la sua vita, un'avventura: bisogna sempre essere pronti a non cadere nelle imboscate di questo gagliardo che, a 95 anni appena compiuti (giovedì 27 gennaio la Casa del cinema gli rende omaggio con la proiezione del film Almeno io Fo..à), tra un recital e l'altro in scena, si diverte a interpretare la parte del vecchietto terribile nella vita. 

 

- Buongiorno a lei, maestro. Perché oggi parla francese? 

 

     «Boh, non lo so. Forse solo perché mi va. Dica pure». 

 

- Ha da poco pubblicato la sua Autobiografia di un artista burbero. Perché questo titolo?

 

    «Non lo so. Io non penso di avere un brutto carattere, anzi ne ho uno stupendo. Sono amico di tutti». 

 

- Ma le sarà capitato qualche volta di litigare con qualcuno... 

     «Sì, ma in fondo voglio bene a tutti, perché penso che tutti abbiamo delle virtù, anche se ogni tanto sbagliamo». 

 

- Un breve ritratto di alcuni grandi attori che ha conosciuto: Vittorio Gassman. 

     «Era qualcuno, ma il primo a esserne convinto era lui e questo non mi piaceva». 

 

- Orson Welles. 

     «L'ho conosciuto durante la lavorazione di un film, I tartari, un polpettone storico. Abbiamo subito litigato durante la cena di presentazione, perché lui sosteneva che non c'erano bravi attori italiani, ma poi siamo diventati grandi amici, tanto che poco dopo mi ha chiamato per fare una parte nel suo film Il processo tratto dal romanzo di Kafka». 

 

- Anche lui aveva la fama di non avere un carattere facile. 

     «Sì, come me del resto». 

 

- Allora ammette di essere un po' burbero? 

     «Non sono burbero, ma non ho un carattere facile nel senso che quando incontro qualcuno che mi sembra sgradevole glielo faccio capire subito. Non riesco a essere ipocrita». 

 

- A metà degli anni Novanta si è trasferito alle Seychelles. Perché? 

     «Le ho trovate così meravigliose che ho deciso di fermarmi. Ci sono rimasto quattro anni, senza mai muovermi di lì. Passavo le giornate a nuotare e a dipingere». 

 

- Perché ha deciso poi di tornare in Italia? 

     «Alla fine mi mancava. L'Italia è il Paese più bello del mondo. E, nonostante tutto, mi piacciono anche gli italiani». 

 

- Adesso, com'è la sua vita a 95 anni? 

     «Cosa devo dire? Stavo meglio prima. Adesso posso dire tutto ciò che voglio senza subire conseguenze anche se, a dire il vero, l'ho sempre fatto lo stesso». 

 

- Non deve essere stato sempre facile. Nella sua autobiografia, per esempio, racconta di come fu perseguitato dopo l'approvazione delle leggi razziali, a causa delle sue origini ebraiche. 

     «Sì, ma riuscii a cavarmela perché gli italiani quelle leggi non le hanno mai accettate. Certo, non è stato semplice: fui espulso dal Centro Sperimentale di cinematografia e fui costretto a cambiare identità. Prima diventai Fiorentini, non sapendo che anche quello, come Foà, era un cognome comune fra gli ebrei; e poi mi chiamai Puccio Gamma, un nome inventato da un mio vecchio insegnante di Firenze. Soffrii la fame, ma non mi sentii mai perduto, perché potei contare sempre sull'aiuto delle tante persone semplici che incontrai in giro per l'Italia mentre tentavo di sfuggire ai tedeschi». 

 

- Come andò a finire questo suo peregrinare? 

     «Nel 1943 mi ritrovai a Napoli. Fui presentato a un certo Ron, un americano di origine tedesca molto simpatico che lavorava per la radio alleata Pwb. La mia voce gli piacque e così fui assunto come writer e come speaker. Fui io a dare l'annuncio dell'armistizio dell'8 settembre. Ma perché eravamo così amici con Ron? E perché mi stimava tanto? I 95 anni mi fanno dimenticare molte cose». 

 

- Questo però non le capita quando va in scena. È ancora attivissimo:  quanto conta il lavoro per la sua longevità? 

     «Non lo so. Riesco benissimo a immaginare la mia vita senza lavoro. La verità, anzi, è che non me ne importa niente». 

 

- Cosa le importa? 

     «Mia moglie Anna. È la meraviglia della mia vita. Ha un'intelligenza rara che mi stimola a vivere». 

 

- Qual è stato il giorno più bello della sua vita?

      «Quando ho sposato mia moglie Anna». 

 

- Ha dei rimpianti? 

     «No, perché so che, pure quando ho sbagliato, non l'ho fatto con cattiveria. Anche perché sono sempre stato convinto che nessuno sia davvero cattivo fino in fondo e per questo bisogna voler bene a tutti, anche a quelli che ci sono nemici». 

 

- Quando non lavora, come trascorre le sue giornate? 

     «Giocando al solitario con il computer e ascoltando musica. Beethoven mi fa impazzire».

 

- Si è mai sentito solo?

     «No. Sicuramente senza mia moglie lo sarei stato». 

 

- C'è qualcosa che desidera ancora fare? 

     «Sì, smettere quest'intervista». 

 

- Benissimo, smettiamo subito. 

     «Allora lo ha capito che mi piace scherzare...».

 

Eugenio Arcidiacono

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